martedì 5 luglio 2011

E Dio creò il gatto.

Rosina Wachtmeister.
Quando il dio di tutte le cose, al termine del quinto giorno, ebbe finito di creare tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati, secondo la loro specie, ed ebbe constatato che era cosa buona, e li ebbe benedetti, e li ebbe esortati ad essere fecondi e a moltiplicarsi riempiendo le acque dei mari e i cieli, si sentì un tantinello provato, e decise di rimandare all'indomani la creazione degli esseri viventi che avrebbero popolato la terra, compreso quel gran figlio di una buona donna dell'uomo, che già sapeva, essendo lui al corrente già del futuro come lo era del presente e del passato, gli avrebbe dato del buon filo da torcere.
E fu sera e fu mattina.
Il sesto giorno, di buon'ora, il dio di tutte le cose si svegliò e la prima cosa che disse fu: "La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e bestie selvatiche secondo la loro specie". Ché non si preoccupava di essere ripetitivo quando parlava, lui, non essendoci ancora nessuno ad ascoltarlo, e inoltre ben sapendo che il proprio verbo si faceva istantaneamente carne, e che quindi doveva stare ben attento a quel che diceva, avendo cura di specificare ogni volta i dettagli, onde evitare che le cose si concretizzassero in maniera non contemplata, e fugare ogni possibilità di equivoco.
E dopo aver constatato per l'ennesima volta che era cosa buona, ed essersi fregato le mani soddisfatto, quasi quasi si accingeva a fare l'uomo, a sua immagine e somiglianza, ché non ci aveva dormito quasi la notte, a pensare a come l'avrebbe fatto tribolare Adamo, e poi suo figli Caino, e non voleva nemmeno pensare a quante rogne gli avrebbero procurato, tra tanti e tanti secoli Giuda, san Tommaso, Maometto, Martin Lutero, Galileo, Marx, Darwin e Don Camillo, sempre lì a domandare, a domandarsi, a fare ipotesi, a scombinare le carte, a rivelare verità scomode, a voler stravolgere tutto l'ordine che lui ci aveva messo giorni e giorni a stabilire.
E quindi, un poco sfiduciato, e ancora non del tutto convinto che quel che stava per fare fosse davvero cosa buona, decise di concedersi una pausa, premurandosi di fare in modo che questa cosa non si sapesse: non l'avrebbe certo rivelata ai suoi biografi, quando avrebbe dettato le Scritture.
Si sedette un poco accaldato all'ombra di un bel melo in fiore, colse un grosso pomo, ché tanto nel paradiso terrestre tutti gli alberi erano perennemente in fiore e in frutto, e si fece un po' d'aria con qualche foglia di un vicino fico, mentre rimirava tutta quella bellezza che aveva appena creato.
Allora, tutto era pronto per iniziare il grande spettacolo della storia. La terra sembrava proprio piena al punto giusto: non mancava proprio niente?
Il dio di tutte le cose a quel punto non voleva commettere gaffe. Non è che poi gli saltava in mente che si era scordato qualcosa e gli toccava aggiungere a cose fatte, che poi ci faceva pure brutta figura, e non voleva dare all'uomo l'opportunità di esser colto in fallo.
Ma insomma, faceva caldo e lui non riusciva a concentrarsi bene, ché il sole era nuovo di pacca e funzionava da Dio! Ah ah! Ogni tanto al dio di tutte le cose capitava di ridere da solo delle sue battute, d'altronde, con chi avrebbe potuto farlo, se no?
Dunque riepiloghiamo: ci son due coccodrilli ed un orangutan (ma perché mai ne avrò creato uno solo? Mah, mi toccherà anche stavolta tirargli fuori una costola per creare l'esemplare femminile: ci casco sempre!), due piccoli serpenti, un'aquila reale (ci risiamo! Promemoria per me: tirare fuori una costola pure all'aquila per creare esemplare femmina), il ratto, il topo, l'elefante... pure i due liocorni ci sono (che spreco, quelli creperanno nel diluvio universale: lo sapevo io che non dovevo fidarmi di Noé!). Insomma, per farla breve, il dio di tutte le cose passò in rassegna l'intero regno animale appena creato: non gli sembrava mancasse nessuno all'appello, eppure provava una strana sensazione di incompletezza, e non si sentiva soddisfatto.
Mentre così meditava, si ritrovò tra le dita qualche pezzetto di argilla avanzato dalle precedenti creazioni, e prese a giocherellarci sovrappensiero.
Gli avanzava un poco di cielo di notte, perché tutte quelle stelle che ci aveva messo dentro ne avevano occupata una buona porzione, ed ora non sapeva più che farci, con quei coriandoli di cielo rimasti. Qualche fetta di luna, perché non aveva calcolato che quella non rimane piena che un solo giorno al mese, e quindi, ritaglia ritaglia ritaglia. Alcuni guizzi di fuoco, perché giudicò non fosse prudente lasciarne in giro troppo, e dopo aver stipato tutto quel magma sotto la crosta terrestre, davvero, non sapeva più dove metterlo. Diversi ritagli di pelliccia di alcuni animali. E poi un po' di nero, un po' di bianco, un po' di rossiccio, un po' di grigio, un po' di paglierino, un po' di argento per colorarle. Aveva distribuito in maniera buona e giusta qualità specifiche ad ogni creatura della terra, del cielo e dell'acqua, ma anche in questo caso, qualcosa qua e là gli era avanzato: furbizia, agilità, ferocia, mansuetudine, discrezione e gentilezza, socialità e indipendenza, orgoglio e ruffianaggine, lealtà e malizia, pigrizia e destrezza. Tante qualità così discordanti e contraddittorie che disperava di riuscire a metterle insieme in un solo essere.
E poi, a pensarci bene, la spazio sulla terra era praticamente esaurito, quasi al completo, con una densità abitativa soddisfacente, se consideriamo che si era appena agli inizi, e che molte giovani famiglie avrebbero presto desiderato degli eredi. Meglio non creare già da subito il problema del sovraffollamento. Ecco, per esempio gli sarebbe piaciuto creare qualcosa che somigliasse alla tigre, della quale si riteneva molto soddisfatto: ragazzi, che portamento! Che stile, che fauci! Che mantello! E però era ingombrante, questo lo sapeva bene. E poi, meglio non abbondare con questi grandi predatori, che mantenerli è impegnativo. Quindi basta: niente più leoni, orsi, giaguari, lupi, ghepardi. Se proprio doveva creare qualcosa, che fosse piccolo e facilmente porzionabile, ché la terra non era nemmeno riempita in maniera uniforme,  ma presentava tante piccole lacune qua e là.
E più ci pensava meno ne veniva a capo, perché adesso gli sembrava che anche il cielo fosse un po' poco popolato. E però di uccelli non ne poteva più! Non sapeva neanche più cosa inventarsi: ne aveva fatti di ogni foggia e dimensione. E quelli acquatici, e quelli migratori, e quelli rapaci, e quelli notturni, e quelli corridori (in verità non ne era molto contento, sperava quasi che si estinguessero presto), e persino al polo sud ce ne aveva messi. Aveva provato a infilarci pure un mammifero, ed era venuto fuori il pipistrello, ma anche in quel caso non era stato proprio soddisfatto del risultato: era schivo, si rinchiudeva nelle grotte di giorno e usciva solo all'imbrunire; svolazzava tutto storto, senza riuscire a tenere una traiettoria che fosse una. Era anche piuttosto inquietante, ma lasciamo stare.
Insomma, pensa che ti ripensa, il dio di tutte le cose non si rendeva conto, ma andava modellando una figura nella creta, perché tutto quello che pensava si imprimeva in automatico nella materia e le dava forma: non dimentichiamo che era il dio di tutte le cose, e a lui bastava il pensiero per creare.
Quando finalmente il dio di tutte le cose tornò in sé e gettò un'occhiata sulla statuina di creta che stava prendendo forma dai suoi pensieri, si dette una gran manata sulla fronte ed esclamò: "Ma certo! Come ho fatto a dimenticarmi il gatto?".
E fu così che nacque il gatto, che era piccolo e c'entrava da tutte le parti. E il gatto era agile e pigro, scostante e sornione, allegro e tenebroso, testardo e lunatico, implorante e altezzoso, solitario e amante della compagnia, autonomo e assillante, guardingo e sollazzone, tutto questo insieme, infilato in un piccolo spazio.
E siccome era fatto di tutti i ritagli di creato che erano avanzati, era impenetrabile come il buio, leggero e fuggevole come un soffio di vento, silenzioso ed enigmatico come la tenebra, e aveva il pelo lucente ed elettrico come un brillare di stelle nel cielo di notte, il passo impalpabile e velato come la nebbia che si posa senza produrre rumore, le pupille come spicchi di luna, che penetravano l'oscurità, e gli occhi come pietre e metalli preziosi, oro, smeraldo e lapislazzuli, che celavano arcani insondabili e rifrangevano la luce nella notte.
E sfoggiava un mantello di mille e mille colori, sfumature e fantasie, infatti poteva essere tigrato, screziato, picchettato, maculato, tartarugato, melange, smoke o colourpoint, che non lo so nemmeno io che cosa significhi, e non credo che lo sapesse all'epoca nemmeno il Creatore, il quale si era limitato a comporre in un puzzle tutti i ritagli residui, e quindi il pelo era a volte raso, altre volte fitto fitto, morbido come bambagia, lungo e folto quando utilizzò la criniera avanzata delle leonesse, che gli erano sembrate più carine senza; ma poi, ahimè, ci fu pure qualche gatto che ne rimase privo, nudo nudo, e il dio di tutte le cose un poco se ne dolse, ché il risultato era piuttosto misero e grottesco, ma è che aveva esaurito tutti i ritagli di pelliccia altrui. Che vuoi fa'?
Il gatto camminava sulla terra, ma la toccava appena con la punta delle zampe a spillo e sembrava spiccare il volo quando balzava d'improvviso in cima a una roccia, e sembrava avere uguale dimestichezza con l'aria che con il suolo, perché era fatto un po' di tutti gli elementi, e non vedeva ostacoli lungo il suo cammino, ma proseguiva incurante, balzando di palo in frasca; sapeva arrampicarsi rapido sul tronco degli alberi perché aveva artigli retrattili come la marea, e si appollaiava in cima, tra i rami alti, nascosto dal fogliame, perché spesso era schivo e mutevole, come le fasi lunari; altre volte invece guizzava veloce come lingue di fuoco, che anche quelle erano servite per forgiare la sua indole, e per questo il gatto non ama l'acqua, anche se si muove liquido come rivoli che scorrono via frusciando giù per una china, ma preferisce lisciare il manto di polvere di stelle e scintille, raspandolo da sé con la lingua, ruvida come la pomice, che al Creatore era avanzata in discreta quantità a causa di un problema di fuoriuscita di magmi che non era riuscito ad arginare nei primi tempi della creazione.
E per finire la voce. La voce del gatto era dolce e mielosa, come il nettare dei fiori, ma all'occorrenza sapeva diventare un urlo spaventoso da drizzare tutti i peli delle braccia, simile al fischiare della bufera tra gli spiragli delle spelonche. Quando poi il gatto era felice e soddisfatto, faceva vibrare le corde vocali emettendo un suono arrotondato con la gola, simile al borbottio dell'acqua quando sobbolle dal fondo delle sorgenti termali, ronfando di goduria come se la gode chi, appunto, sperimenti una di quelle rilassanti e salubri immersioni.

"Finito! Un bel guazzabuglio sei tu, gatto!"
Disse il dio di tutte le cose prima di alitarci dentro il suo soffio vitale.
Subito il gatto prese vita, si stiracchiò senza fretta, si lisciò i baffi, si guardò intorno, e infine si andò ad acciambellare proprio in grembo al Creatore.
Il dio di tutte le cose non se l'aspettava certo; piuttosto imbarazzato, decise però di aspettare che il gatto finisse la sua pennica prima di terminare la creazione dell'universo, perché gli mancava l'animo di scrollarselo di dosso, e, in fondo, l'uomo poteva di sicuro aspettare i comodi del gatto, che era venuto fuori proprio bello, se pure era stato fatto utilizzando materiali di recupero.
Il dio di tutte le cose rimase a lungo lì, col gatto che gli ronfava in grembo, a grattargli la testa dietro le orecchie, e non poté fare a meno di constatare che il gatto era cosa buona.

Antica leggenda persiana, tramandata da un saggio indiano, raccolta e trascritta da un monaco cinese, recuperata da un giovane scriba egizio, tradotta e interpretata da un umanista bizantino del XV secolo.
Oggi in esclusiva per voi su questo blog.

(Spero di non aver urtato la sensibilità religiosa di nessuno con questo Dio umanizzato che tutto conosce ma poi dimentica pezzi di onniscienza per strada, un po' come mago Merlino de La spada nella roccia. Suster ritiene che se il dio di tutte le cose non avesse voluto che l'uomo scherzasse su di Lui, forse non avrebbe creato la satira).

Esperimento letterario per la rubrica del martedì: Roba da gatti.


9 commenti:

  1. Esperimento riuscito Suster!
    Bellissima ode :-)

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  2. Davvero simpatica!!! Se uno pensa a tutte le cose brutte, ma proprio brutte che alcune persone dicono su Dio, questa leggenda è zucchero... e poi il gatto è stato descritto egregiamente!!!

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  3. Stupendo elogio, SuSter!!
    Degno di Kipling e le sue Storie Cosi' :-)

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  4. ma che carina la storia dei gatti...e che nessuno dica che non li ami!!!!!un abbraccione!

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  5. Poesia, leggerezza e umorismo, un po' Kipling (si, ce lo vedo anch'io) e un po' "La Creazione" di Guccini...

    Bellissimo pezzo, come tutti quelli che scrivi. E' veramente un piacere leggere i tuoi post!

    Grazie

    Dani

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  6. Grazie a tutte! A questo punto credo che dovrò andarmi a rileggere qualcosa di Kipling... da piccola ho letto Il libro della jungla (oltre al fatto che quando facevo gli scout ci è stato raccontato mille e mille volte), ma credo che vi riferiate a Storie proprio così. Ora sbircio su wiki. Grazie ancora per i commenti positivi; io da brava autrice dopo aver scritto con grande entusiasmo ora mi sto vergognando molto.

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  7. (OK Sfolli: me l'avevi pure scritto che era quello il libro! Non ci sto proprio certi giorni!)

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  8. Questo mi era sfuggito!
    Ma se al dio di tutte le cose avanzava tanto grasso e carattere di merda perché l'ha dato tutto a Zenzero e non li ha distribuiti??
    Sgrunt.

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  9. Ladò, Lui le cose le fa un po' così, lo sai, la perfezione è ben lungi da Lui, checché se ne dica! (e poi gli piace sperimentare, esagerare e divertirsi un po': tutta quell'eternità lassù da solo se no, che fare?)

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