lunedì 29 aprile 2013

Saluti dall'isola che non c'è.


Sulla banchina del binario 13, in attesa della partenza del diretto per Roma-Termini, sembrava che Peter fosse indifferente e distratto. Continuava a ripetere che sarebbe voluto andare andare a raccogliere i fiori, e intanto si rigirava il lecca-lecca alla fragola tra la mano appiccicaticcia e le labbra, interrompendo di continuo i discorsi delle due "fatine grandi" con altri che non c'azzeccavano 'na mazza nel contesto, ma che evidentemente seguivano un suo percorso mentale mai interrotto, di coccodrilli e isole e fatine...
Eppure gli era stato pur detto che l'amica fatina Rosetta stava per ripartire, dopo quella visita fine settimanale, un soggiorno di quattro giorni che si era ridotto ad una prolungata reclusione in casa imposta dal tempo avverso e dalle inconsolabili coliche neonatali della "piccola fatina". Erano stati giorni di giochi casalinghi, librini, cucina, lunghe telefonate e visite di cortesia ("toc-toc chi è? Sono io, mi api?" "Ponto fatina vuoi venire a cada mia?"), con la partecipazione eccezionale della "Principessa Panzìnola" (mi spiace, Panzumen, sei stato ufficialmente investito di identità femminile), e ora Rosetta stava per salire su quel treno.
Niente.
Poi il treno si è mosso. Gli ultimi saluti distratti dal finestrino (che non ne ha voluto sapere di aprirsi) e poi ci avviamo come se niente fosse verso la scalinata del sottopassaggio della stazione.
E' stato allora che mi sono accorta che Peter piangeva, sommessamente, labbro tremulo e grossi lacrimoni che gli rigavano il viso.
- Amore, sei triste?
- Tì. Tono tiste pecché...
E la voce le muore in gola.
- Tono triste pecché... la tua amica fatina è andata via!

E allora, mio Peter, cosa dirti?
Lì per lì mi è venuto spontaneo tentare di distrarti, da quella tua tristezza:
- Guarda guarda, sono spuntati dei papaveri, laggiù, lungo quei binari!
- Allora adesso che si fa, andiamo a raccogliere i fiori? Torniamo dalla fatina piccola?
Ma poi ho capito che era giusto lasciarti vivere quel tuo dolore di bambina, o mio Peter Pan, che contrariamente a quello della fiaba, cresci ogni giorno, e scopri in te emozioni nuove, che magari fanno male, anche, ma è un dolore importante, quello che dà la nostalgia.
Il dolore di veder andare via qualcuno che amiamo, di capire che tutti i momenti belli, hanno SEMPRE una fine, non necessariamente PER sempre, e non necessariamente per lasciare il posto a momenti meno belli, ma comunque sì: tutto passa, e le persone spesso vanno via, anche se poi magari tornano anche, per carità, ma quel dolore lì lo conosco bene quando arriva, è irrazionale e viscerale. Il dolore del distacco.

Ti ho anche spiegato che le persone che amiamo ci sono sempre, anche quando sono lontane, e l'importante è sapere questo: che sempre ci saranno, per noi, e che il solo pensare a questo loro esserci può bastare a renderci felici, malgrado la lontananza, malgrado il dolore di vederli ogni volta ripartire.
Non so se hai capito, ma continuavi a dire: "Io voglio che la tua amica fatina torna da me!"
E un pochino mi faceva male, questa tua tristezza sorda alla ragione, un pochino mi rendeva felice, perché ti faccio il dono delle mie amicizie più care, perché le persone a cui tengo di più al mondo sono poche, poche davvero, ma importanti, fondamentali per me, fondamentale sapere che esistano, e mi fa felice sapere che ora esistano anche per te, che inizino a popolare il tuo giovanissimo universo affettivo.

O mio Peter Pan sognante, mi fa male vederti scoprire che la vita spesso ti dà dei dolori, che non è sempre come nelle tue fiabe, tutti felici e contenti, e a volte sento il peso di questa mia scelta, di stare lontana, sia pure a portata di poche ore di treno, da un intero contesto di affetti, da un tessuto familiare che sento mancarti, man mano che diventi più grande, e mi chiedo se, crescendo ancora, tu non finisca a ritrovarti come me, a sentirti sempre mancante di un pezzetto, mai del tutto a casa, perché partendo ti lasci alle spalle sempre qualcuno che ami, sempre qualcosa che ti appartiene.
Eppure sento che questa è anche una tua ricchezza, una nostra risorsa: quella di potersi sentire a casa in più posti, quella di sapere che c'è un altrove dove qualcuno o più di qualcuno ci riserva un posto nel suo cuore, nella sua vita, nella sua memoria; quella di potersi un giorno sempre ritrovare, e poter gioire di questo.
E, sì, poter godere anche di quella tristezza passeggera, del lasciarsi, del partire lasciando qualcuno a salutarci dalla banchina, o del vedere qualcuno allontanarsi sul binario, di potersi telefonare e dirsi: "Quando vieni a trovarmi?" come quando giochi a invitarmi a casa tua ("Toc-toc, chi è, posso entrare?").

E poi arriverà anche il tempo di scoprire che alcune persone che amiamo potranno anche non esserci più, e sarà assai più difficile da accettare, assai più faticoso e doloroso riuscire a dare un senso anche a quel "non esserci", che è un non esserci senza ritorno. Ma anche allora, o mio Peter, arriverai a trovare un senso, un valore in quello che c'è stato, in quello che rimane in te di loro, in un ricordo, in un sorriso che ti sale alle labbra ripensando a un momento di vita insieme, nella gratitudine di poterli avere avuti presenti nella tua vita, per un po', e nel fartelo bastare per il tempo che rimane.
Un giorno, non ora, mio Peter. Ché questo non è ancora tempo per la malinconia, e questo post non vuole diventare certo malinconico, malgrado queste giornate uggiose di fine aprile.
Per ora mi piace vederti vivere il SEMPRE della tua infanzia che tu dai per scontato debba durare per sempre.
Tua fatina.

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