mercoledì 30 ottobre 2013

Prendi una mattina per caso.

Per esempio dopo aver lasciato la grande a scuola.
Che ne dici se ce ne andassimo a spasso, io e te?
La piccola fatina rise e dimenò il capo, farfugliò qualcosa come a dire sì.
Lei nel passeggino, veicolo pensato al solo scopo di passeggiare, io tappeti di foglie secche sotto i piedi, e marciapiedi (strutture pensate al solo scopo di marciare a piedi).
Passeggiamo dunque.
Ottobre alle ultime battute ci concede una giornata inaspettatamente luminosa e dorata, una di quelle giornate classicamente autunnali, di quell'autunno che disegnavi a scuola, nei cartelloni appesi alle pareti dell'aula, con tutte le foglie colorate appiccicate. Qualcosa del genere.
In sostanza è stato bello.
Io, lei, e l'autunno, così, senza motivi particolari.
Perché non capita quasi mai che dedichi del tempo esclusivo a lei, a me e a lei.


Lei è di piacevole compagnia.
Le piace il passeggio, e vi si presta con partecipe interesse ed entusiasmo. Basta che intuisca che si sta per uscire che placa ogni momentanea insofferenza in atto.
Al suo posto di guardia, si sporge tutta in avanti con il busto e osserva il paesaggio cambiare, e scorrerle incontro passanti e autovetture, palazzi e muraglioni, siepi e viali alberati. A volte si afferra coi denti, addirittura, alla barra gommosa del veicolo da passeggio. Poi se ha voglia decide di abbioccarsi.
Oppure no.




Devo ammetterlo: andare in giro con lei è davvero rilassante, cosa che non si poteva certo dire all'epoca della primogenita che non aveva in grande simpatia il suddetto veicolo da passeggio, e lo rendeva noto nella maniera più veemente di cui fosse capace chi può esprimersi solo in base alle variazioni di intensità delle proprie urla inarticolate. Ricordi faticosi.

Il fitness con passeggino è saltato a metà. L'amica mi raggiunge solo in tarda mattinata. Io non ho osato svegliarla prima, ché lo so che non è normale starsene in giro alle nove del mattino ed avere alle spalle già un buon cinque ore di veglia.
Ma intanto passeggio e scatto foto. Il vantaggio di avere il telefono che fa le foto è che puoi improvvisare, pure se non ti sei portata dietro la reflex apposta, quando ti piglia l'ispirazione di trattenere in immagini un po' di autunno, che tra tutte le stagioni e quella che si presta meglio a farsi immortalare.



Lo svantaggio è che poi quando ti serve il telefono per metterti in contatto con la persona con cui avevi appuntamento, la batteria è ormai scarica, e non tiene la chiamata.
Ma vuoi mettere? Ora hai la memoria piena di splendido foliage.





Cammina che ti cammina, arrivarono davanti a un enorme castello.
("Dev'essere la casa di un gigante", pensò).
Non era una castello: era un palazzo. Era un palazzo fatto tutto di... dolci e marzapane?
No: era un palazzo fatto tutto di cristallo! Cristallo e anche acciaio e cemento, ma soprattutto era un palazzo fatto di libri.
I libri erano la sua struttura portante: centinaia e centinaia di parole e pagine, e storie e mondi, che se ne stavano acquattati nel palazzo, e lo tenevano su, in solidi pilastri.
Pareti piene di libri issate su pavimenti diafani, ché da sotto vedevi sopra e da sopra (urka! Avrei dovuto pensarci quando mi sono messa candidamente ad allattare, tetta al vento), da sopra, dicevo, vedevi sotto, ovvio.


La bimba e la mamma si misero comode, e giocarono.





La prossima volta, disse la mamma, veniamo prima, e portiamo anche Mimi.

Ma tanto lo sapeva anche lei che certe cose accadono una volta, quando non programmi, e sono i luoghi a guidarti e a condurti, e a invitarti a sperimentare, ad esplorare, quando proprio non l'avevi messo in conto, quel giorno, e ti sembra di scoprirli per la prima volta, mentre invece sapevi già da tempo che erano lì.

Ho aspettato e aspettato, che il grande palazzo dei libri aprisse i battenti, nel lungo inverno dello scontento e dell'attesa, lo scorso anno, trottando alla ventura con una Mimi di una anno più piccola, quando uscivamo dal nido e ci intristiva il buio incipiente delle quattro pomeridiane, e allora cercavamo un luogo accogliente, di luce e fiabe, e pagine da sfogliare e piccole sedioline.
Ma invano aspettammo, l'inverno passò. Venne marzo coi suoi profumi e le panze a termine. Arrivò la piccola fatina e la mente volò altrove.
Il grande palazzo intanto, vile bastardo, apriva finalmente il suo portone ai visitatori. Ma arrivava la bella stagione, e noi non lo degnammo più di uno sguardo.

Orsù, rappacifichiamoci, in questo autunno dorato, che apre la via ad un nuovo lungo inverno, che non sia di scontento, ma di esplorazione e racconti.

Ce la possiamo fare, biblioteca.
Torneremo.

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