sabato 2 novembre 2013

Memoria familiare.

In rete a volte nascono dialoghi. Frammentari, va bene, il più delle volte insulsi.
Però capita anche la volta che per caso ti imbatti in un momento di riflessione profonda di qualcuno e ti infili sulla sua lunghezza d'onda. E ti accorgi che quello che vorresti poter dire è assai più di quanto sia possibile e lecito postare su una bacheca altrui di Facebook.
E allora apri il blog e clicchi: nuovo post.
Poi fai un respirone e ti auguri che tutti continuino a dormire per almeno un'altra mezz'oretta, il tempo sufficiente per dire quanto ti preme, in questo giorno che nasce grigio e piovoso, e si tira dietro umori di melanconia e un fondo di inquietudine esistenziale.

Di fronte alla morte ho sempre assunto atteggiamenti di forte pudore.
Come molti della mia generazione non l'ho mai avuta in gran familiarità, e detestavo le rituali andate al cimitero, a "far visita" a gente morta che per lo più non avevo mai conosciuto.
Ancora oggi non vado volentieri a "trovare" mio padre al cimitero. Vuoi per la difficoltà logistica della cosa, vuoi perché il luogo dove il suo corpo giace, così spersonalizzato e lontano da ogni fermento di vita presente mi trasmette un senso di desolazione e smarrimento. Saperlo lì mi rattrista, e allo stesso tempo non sento la necessità di far visita a quel che resta di ciò che fu, un tempo, il suo corpo.


Trattengo con fatica anche i ricordi di vita, a volte, perché mi accorgo che sempre più sono ricordi di una persona che non sono più io.
Fermarmi a pensare che la persona che amavo, e il cui ricordo per me è rimasto fermo a dieci anni fa, si è persa gli ultimi dieci anni della mia vita e tutto ciò che in essi è successo, dentro e fuori di me, a volte mi destabilizza.
Tante cose avrei voluto averle capite prima, tanti aspetti di me che con fatica ho limato e arrotondato quando ancora c'era tempo per un dialogo, per uno scambio, per una corrispondenza.
Poi piano piano il rimpianto lascia il posto alla rassegnazione della fatalità dell'esistenza e ti convinci della necessità che le cose accadano in una certa sequenza.
Oggi sono quella che sono, nel bene e nel male, anche in conseguenza di quell'evento luttuoso, che ha segnato la mia vita in un punto imprecisato tra la mia lunga adolescenza e la mia, diciamo così, età adulta, ancora in fase di assestamento del resto.

Io ne parlo raramente. Non per pudore, ma perché il ricordare a volte mi sembra ozioso rimpianto.
Ormai ho digerito, metabolizzato e anche assimilato il dolore.
La vita è fatta anche di morte, ed è giunto il momento in cui riesco infine a tenerne conto senza tabù.
Tutto si complica quando si tratta di parlarne con Mimi.

Mi trovo a farci i conti in questo lungo ponte "dei morti", che poi sarebbe dei santi, e che ho già sentito qualcuno chiamare "di Halloween", che la scuola ha fatto di tutto per prolungare ulteriormente, prima con lo sciopero del personale della mensa, giovedì, cose che mi ha costretto a recuperare Mimi prima di pranzo, poi indicendo l'ennesima assemblea sindacale nella giornata di lunedì prossimo.
Ma lasciando stare le recriminazioni, ché tanto da ora in avanti credo che le occasioni per farlo si sprecheranno, l'avere davanti tanti giorni di "festa" da trascorrere per lo più da sola con le bimbe mi ha, come spesso mi accade, un po' immalinconito.
Quando la festa si svuota, per te, di qualsiasi significato, perché non hai la volontà né la determinazione per attribuirgliene, e ti senti completamente sradicato da vincoli di celebrazione e rituali societari.
Allora la festa perde un po' la ragion d'essere e forse è un bene che ti ritrovi a trascorrerli come giorni di abituale normalità, scevra di qualsiasi significato più profondo.

Però ieri passando davanti al fioraio sotto casa lei non ha fatto a meno di notare che, malgrado le avessi spiegato che tutti i negozi quel giorno erano chiusi per festa, quello fosse aperto.
E come avrebbe potuto non notarlo? Lei adora perdersi tra quei vasi e passare in rassegna l'intero campionario floreale ogni volta che ci passiamo davanti.
Le ho spiegato che il negozio di fiori era aperto perché le persone potessero andare a comprare i fiori da portare alle persone care che sono morte, e che quello era il giorno (va be', sottigliezze che il giorno non fosse ieri ma oggi) dedicato al ricordo di chi non c'è più.
Naturalmente ha pensato subito al nonno che mai ha conosciuto, se non in foto e attraverso riferimenti e racconti di terzi.
Ha raccolto un fiore giallo dal ciglio del marciapiede e mi ha detto: "Tieni, mamma: è per nonno Mauro".
Sono rimasta molto colpita che il discorso delle persone care che sono morte avesse fatto breccia in lei in maniera così immediata.
Ripensando a me stessa, a quando ero piccola (certo, non piccola come Mimi, perché non potrei ricordarlo), non mi pare di aver mai provato alcun tipo di affezione o sentimento particolarmente intenso verso chi a mala pena avevo conosciuto, ma che sapevo essermi stato parente, anche stretto. Non ho praticamente conosciuto i miei nonni, oppure solo tangenzialmente e non me ne rimane un gran ricordo.

Invece lei ha continuato chiedendomi se potevamo andare a trovare nonno Mauro anche noi.
Mi ha detto: "Quando andiamo da nonna, io chiedo a nonna se mi porta da nonno Mauro, e poi mi metto il vestitino bello così nonno Mauro vede che mi sono vestita elegante per lui, e gli porto il fiore giallo. Mettilo nell'acqua, mamma, così poi quando andiamo da nonna glie lo portiamo."
Mi sono chiesta se abbia capito che il nonno non l'avrebbe "visto" per davvero, ma solo idealmente.
Non credo che abbia colto già il reale significato del termine "morto".
Non le parlo spesso del nonno anche perché la cosa richiederebbe forse ulteriori spiegazioni sul tema, ed io non so mai fino a che punto spingermi nel raccontarle il funzionamento di questa vita, ché ci sei fino a un certo punto, e poi, chi lo sa dove vai a finire. Perché mi spaventa dover spiegare a una bambina di tre anni il senso del "mai più".

Non le parlo troppo spesso del nonno perché temo il momento in cui intuirà che, se il nonno è morto e ora "non c'è più", lo stesso potrebbe accadere ad altre persone che lei ama.

Però lei evidentemente percepisce l'importanza che quella persona ha rappresentato per me, o forse, mi chiedo, sente la mancanza della figura di un nonno buono, a riempire il suo mondo di affetti primordiali.
"Io ho tanto amore per nonno Mauro..." ha detto continuando le sue confabulazioni, mentre io continuavo ad ascoltarla in silenzio.
"E però non c'è più nonno Mauro, è vero, mamma? Io lo volevo andare a trovare, ma lui è morto: non c'è più."
Allora, che paradosso! Come fare a trovare una persona che non c'è più?

Le ho detto che quando qualcuno muore il suo spirito lascia il corpo, ma mi sono astenuta dal parlarle di cieli popolati di anime beate semplicemente perché non la ritengo una nozione davvero necessaria, visto che non la ritengo nemmeno plausibile (ma in cielo ci sono le anime dei morti? E dove vanno quando non ci sono le nuvole? Non so voi, ma io me lo chiedevo, da piccola). Non capisco l'esigenza di trovare una collocazione fisica per l'anima e la cosa stessa mi sembra fonte di confusione e contraddizione.
Così come ho scelto di non apprenderle i rudimenti di una fede che non possiedo, non vedo perché dovrei proporle l'idea di una vita dopo la morte della quale diffido.
Credo nella vita e nel ricordo, nel bene che lasci dietro di te quando passi, della vita che genera altra vita, del bene che ti spinge a farne altro a tua volta, del desiderio di trasmettere ad altri dopo di te ciò che altri prima di te hanno lasciato, che possiamo chiamare tradizione, o eredità.
Penso che i ricordi siano tutto ciò che rimane della vita, nell'attimo in cui la vivi e già non è più potenzialità, futuro, ma presente, e poi, immediatamente dopo l'attimo, solo ricordo, cenere della vita.
Coltivare la memoria è creare una continuità, fare in modo che non rimaniamo come frammenti alla deriva a galleggiare nel nostro presente isolato, magmatico e privo di senso, prima di ritornare all'inevitabile nulla.
Attingere a una memoria familiare, che allunga le radici ben più in profondità nel passato di quando la nostra sola memoria non riesca a fare, ci permette di muoverci su un terreno più saldo, di volgerci indietro a considerare non solo il nostro percorso, ma anche quello di chi ci ha preceduto e dal quale il nostro si è dipanato, di avvalerci non solo del nostro vissuto, ma anche di quanto da altri vissuto prima e altrove, altrimenti, tra analogie e diversità, in definitiva di sentire ogni tuo singolo giorno di vita come un po' meno inutile, anche quando ti sembra di non andare da nessuna parte e ti chiedi che senso abbia tutto questo nostro affannarci dietro a cosa non si sa.
Con un punto solo non puoi tracciare una traiettoria, te ne servono come minimo due. Assai di più quando non si tratta di una linea retta, e i percorsi di una vita lo sono raramente.
Un giorno tutta la nostra memoria andrà comunque dispersa, a meno che non ci sia qualcuno che la raccolga, e ne faccia tesoro, e che sarà capace di tirare fuori un senso anche dal più insulso dei tuoi giorni, forse.
Ecco: memoria. Memoria come vita contro l'oblio e la morte. Il passato come forza vitale, humus da cui attingere linfa.
Ecco forse l'unico significato che riesco a dare a questo giorno, e a questa ricorrenza.


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