domenica 5 gennaio 2014

Il bello delle feste (sì, sul serio).

Gennaio da che ne ho memoria è il mese che più mi sta sulle palle.
Infinito, lunghissimo, girgio e triste, freddo e noioso. Il lunedì dell'anno solare in pratica.
L'unica cosa di bello che ha, se proprio vogliamo giocare a fare gli ottimisti, è che una volta che ci sei arrivato non può fare a meno di passare, e poi tornerà solo tra altri 11 mesi.
Magra consolazione, visto che subito dopo ti attende febbraio, che forse è altrettanto tedioso, ma almeno ha la decenza di durare solo 28 giorni, 29 se proprio ti dice sfiga, ma comunque ti risparmia pur sempre quei 3-4 giorni di uggia che possono fare un po' la differenza, ed ecco: ti svegli ed ecco sei a marzo, e mentalmente lo associ già a uccellini che cinguettano e prati fioriti, e al profumo di mimosa che ti stordisce a ondate.
Ma torniamo a noi.


La fortuna in tutto ciò è che prendi coscienza di essere già a gennaio con un certo scarto di tempo, causa festività ancora in corso, scuole chiuse, e quel tempo di merd condizioni atmosferiche tali da costringerti in casa ad una non-vita domestica con pupe che chi non l'ha mai provata non può intendere fino in fondo lo sconforto e il senso di lembitudine che infonde, se reiterata per un certo numero di giorni.
Allora le tenti tutte per sfangartela. Dal Play Mais alla visione continua e reiterata dei due film della serie Disney Fairies attualmente in nostro possesso, fino a sorprendere te stessa a cantare da sola nei momenti di pace "Puoi volare viaaaa con la fantasiaaa".
Poi volevo anche scriverne un giorno, ché non è così male come credevo pregiudiziosamente, questa Trilli-saga.
Ma ritorniamo ancora a noi.

Se potessi mettere in pausa il tempo come con quegli attrezzi che uscivano dal marsupio a Doraemon il gatto spaziale, in certi giorni che sono in ostaggio delle bimbe, lo farei, per mettere nero su bianco certi pensieri ed emozioni che poi dopo qualche giorno già ti pare non abbiano più senso, a magia delle feste ultimata.
Chi mi conosce un po' sa che non ho in gran simpatia le festività natalizie in toto, soprattutto per quel loro immancabile bagaglio di incombenze correlate alla vita in famiglia, allo scambio di doni, alla frenesia del dover fare qualcosa a tutti i costi etc ect.
Però quando poi succede che passi dall'altro lato della barricata, tutto cambia un po', e assume una prospettiva più umana, anzi, direi quasi, più dolce e... e... e... intima, ecco sì.

Il viaggio.
Il viaggio, eh. Come sempre attrazione e repulsione, voglia di cambiare aria e ansia dei preparativi. Posso dire che mi ci sono rappacificata negli ultimi anni, se solo mi sforzo di ridimensionare le mie pretese di avere tutto sotto controllo, programmare e pianificare, non farmi mancare nulla e sapere per quanto e fino a quando, tutte cose ben lungi dalla mia indole innata. Rielaboro il mio concetto di essenziale, riuscendo a limitare drasticamente la mole del mio sparuto guardaroba da asporto. Tanto lo so che tra tutto quel che mi porterò dietro ci sarà qualcosa che non utilizzerò. Non mi riesce altrettanto bene con quello delle pupe (E se poi fa freddo? E se poi si sporca? E se poi... Ma vuoi farle mancare il vestitino elegante per il giorno di festa?), posso comunque ritenermi soddisfatta di aver fatto rientrare il necessario per sopravvivere in tre nello spazio di un'unica valigia. E poi la strada che scorre, il paesaggio brumosetto dietro i vetri, che cambia gradualmente procedendo verso sud, qualcuno che guida al mio posto (grande storia, l'alleanza con la zia emigrata nel nord), Mimi che pregusta l'incontro con la nonna e con la cuginetta, l'arrivo di Natale e chissà che altro, il senso del ritorno alle origini che ora ha un valore differente, ora che il viaggio non è più solo il mio rientro alla casa materna, ma rappresenta per loro la ricongiunzione tra la vita ordinaria e un'altra realtà allargata che pure appartiene loro di diritto, ma di cui possono godere solo in occasioni straordinarie come queste.

Lo stare insieme.
Ritrovarsi e scoprire di essere diventati davvero tanti, e chiassosi. Vedere e sentir sciamare i bambini alle prese con le loro occupazioni serissime. Stare un pochino stretti e dormire un po' peggio del solito, nel letto-branda a conca, dove io e Rania ci fondiamo infossate nella voragine del materasso creata dal peso dei nostri corpi, in un abbraccio materno indistricabile. Anche questo starsi addosso l'un l'altro è famiglia in fondo. Ricalibrare le proprie abitudini acquisite nella vita adulta con quelle abbandonate o dimenticate della casa d'origine, apparecchiare una lunga tavolata per mettere a sedere quattro famiglie accorpate, come non succedeva da anni innumerevoli. Quando si cresce di numero nelle genealogie molto frondose, è inevitabile che ci si disperda un po'. Ma poi con l'apporto di nuovi innesti ecco che si creano nuovi e impensati intrecci, di vite e persone, si perdono per la via vecchie tradizioni e se ne inventano di nuove, che non lasciano spazio a rimpianto e nostalgia.

Lo scambio.
Il momento dello scambio dei doni l'ho sempre vissuto con un certo magone. Sin da piccola ricordo l'amarezza di quel rapido passaggio del sentimento di entusiasmo e impazienza della sorpresa a quello della consumazione del dono ricevuto, che presto finiva ad impilarsi nella catasta di oggetti da riporre, da usare, certo, ma spoglio di quella magia misteriosa della scoperta. Così da adulta ho sempre vissuto con un velo di disagio la necessità di perpetuare questo rituale dello scambio, fortunatamente in famiglia mai palese, poiché della totalità dei doni fatti e ricevuti si è sempre incaricato un generico Babbo Natale, mittente universale. E poi crescendo tutti un po' ci si perde di vista e diventa sempre più difficile pensare a tutti, soddisfare tutti, corrispondere anche alle proprie aspettative (ma gli piacerà? Rimarrà deluso? Lo userà? Oddio, non so proprio che fargli quest'anno) e ci si sente incastrati in una consuetudine castrante e un po' svuotata di senso. La risposta per me quest'anno è stata: abbassare il budget dei regali fatti agli adulti, uniformare la scelta dei doni, prendere qualcosa di utile per tutti (nella fattispecie sono stati stock di calze in confessioni regalo) con poche significative varianti del caso, e che il dono fosse realmente simbolico, ma non un'inutile cianfrusaglia di cui ormai abbiamo tutti le case piene. Scelto invece con attenzione i doni per i bimbi, senza strafare, senza sommergerli di superfluo, lasciando alle due grandi il gusto dello scartare, cercando di far corrispondere senza esagerare le aspettative al dono. E al suo quarto Natale finalmente godermi lo splendore dei suoi occhi scintillanti di gioia contenuta e meraviglia di fronte al cumulo dei pacchetti, le espressioni e i commenti esilaranti e le sue confabulazioni con Cenerentola, orrida principessa Disney formato Barbie che mi sono concessa di prenderle, e che ha segnato definitivamente il crollo dell'attenzione dedicata da Mimi al rituale dei doni.

La festa.
L'ultimo mostro da sconfiggere è stato infine il terribile "che si fa", riproposto ogni anno dai tempi della mia adolescenza nell'avvicinarsi della data x. Non tanto il Natale e i giorni a seguire, un pigro susseguirsi di pomeriggi di visite e mangiate, o rituali tour de force al cinema a vedere scialbi film della Pixar. Non tanto quei giorni, quanto il terrificante mostro a due teste e 365 denti: il capodanno. Ritrovarmi il pomeriggio di San Silvestro seduta sulle scale di casa con Mimi a guardare il sole tramontare, a spiegarle che quel tramonto segnava la fine di un anno e che quella notte avremmo festeggiato insieme l'inizio del nuovo. Uscire insieme a comprare due pacchi di stelline su una bancarella del centro, vederla felice agitarle in aria sulla terrazza di casa, una coppia di amici a cena a bere Sanbitter e birra analcolica, qualcuno reduce di intossicazioni alimentari e influenze, lei che esultava: "Evviva il nuovo anno! Ciao anno vecchio, torna presto eh!" e "Mamma mi racconti di nuovo la storia di Dafne che si trasforma in alloro?". Lei assetata di storie, lei che impara il senso del tempo e delle ricorrenze. Guardare e vivere la festa dalla prospettiva di una bambina di tre anni mi rappacifica con esse. E torna la voglia anche a me di celebrarle, di scandire il tempo, di rispettare le ricorrenze, di reinventare le tradizioni tagliandole su misura per me, per noi.

Il rientro.
E come tutte le cose, c'è necessità di apporre la parole fine, di chiudere una fase. Lei che ora aspetta la Befana che si trascinerà via le feste, e toglieremo l'albero, e poi si tornerà a scuola, a fare il girotondo con Matilde e Miriana. E Anna. A vederla da qui pare tutto liscio e scorrevole. Mh, vedremo. Però sul serio, il rientro alla normalità a un certo punto è un'esigenza. Come quella di riempire i giorni di questi scampoli di festa facendo, ricevendo e rilanciando inviti, riafferrando e riannodando le fila di quei rapporti lasciati in sospeso, mettendo magari una lasagna in forno per un pranzo domenicale tra amici.

Mimi si è invaghita in libreria di un librino sonoro del Lago dei Cigni. Sebbene io non ami i libri sonori, ho ceduto di fronte alla sua amarezza nel constatare, una volta tornate a casa, che non le avevo comprato quel libro, ma l'avevo imbrogliata riponendolo sullo scaffale prima di uscire dal negozio. Si è sorbita senza fare una piega o uno sbadiglio una serie impressionante di video di balletti che le ho cercato per rimediare allo sgarbo. Per conto mio ho dovuto rispondere a un numero impressionante di domande sul tema, a cui non ero un gran che preparata. Va be', è una romantica, lo sapevamo. La Befana le ha preso quel dannato libro sonoro, così anche io mi farò un po' di cultura su Sigfrido e la bella sfigata Odette. Ci mancava solo questa, sì, per chiudere in bellezza.
Poi se mai ricomincerò a recensire i libri di mimi, ché mi sa sono rimasta parecchio indietro, e ci sono diverse chicche che mi piacerebbe segnalare.
Ma nel frattempo, il proposito per il nuovo anno è lavorare sulla concisione.
Che é difficile quando ti trascini i post per giorni e giorni, e ti si allungano come la lista della spesa quando non vai al supermercato da più di due settimane (sì, avete indovinato, c'ho da andarci, c'ho!).

Nel frattempo auguro a tutti voi un buon rientro alle cose solite.
Avete tutti l'agenda e il calendario del 2014?
Io no, naturalmente. Ma ho parecchio spazio ancora sulla vecchia agenda, e dopo varie tribolazioni sono riuscita infine ad ordinare il nuovo calendario personalizzato con le foto dell'anno appena trascorso delle pupe.

A presto vi aggiorno, se vi pare.

Intanto...

Il viaggio: paesaggio brumosetto dal finestrino.

Il viaggio: il sonno ristoratore.

Natale in famiglia: traguardi.

Il rientro: la città a festa.

Tramonto dell'anno vecchio.

Alba dell'anno nuovo.

Doni ricevuti e goduti.

Avete fatto i buoni?

Ancora traguardi.



Occupazioni principesche.

Ballare sulla base di Čajkovskij
Pomeriggi in casa e Play Mais.

(Ohibò, ho dimenticato la reflex a casa di nonna...)

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