mercoledì 5 marzo 2014

Asparagus. La vera storia di un'angiosperma monocotiledone.


Dice il saggio: nella vita l'importante è lasciare sempre aperta la porta a nuove esperienze, ché per imparare qualcosa di nuovo non è mai tardi.

Prendete me, per esempio: fino a qualche anno fa non avevo mai comprato né cucinato degli asparagi.

Poi ho scoperto che potevo imparare a farli, e l'ho fatto, in un sacco di varianti.
Però non sapevo ancora che razza di pianta fosse l'asparago, anche se sapevo declinarne il nome al singolare, né dove crescesse né come si presentasse a un ipotetico cercatore di asparagi che andasse per campi a farne scorta.
Detto tra noi non immaginavo neppure che si potesse andare a raccoglierli per campi, o se, magari, non bisognasse coltivarli nell'orto, come, per esempio, i pomodori o le melanzane.
Insomma, sono queste aberrazioni dei tempi in cui viviamo, in cui cresci accompagnando tua madre al supermercato, e alla fine ti convinci che il cibo venga da lì, dal supermercato, dove a seconda dei reparti cresce di tutto, verdura, frutta, carne, pesce, panificati...


A trentadue anni suonati posso finalmente dirmi una raccoglitrice ufficiale di asparagi.
Non è mai troppo tardi, dico io.

Partiamo alla volta del "posto degli asparagi", tutta la truppa, al solito, la piccola che ronfa nel seggiolino, Mimi vestita da perfetta montanara, le scarpine di vernice con la fibbia, le calze lilla e il vestitino rosso, il piumino rigorosamente aperto, "così le persone vedono il mio bel vestito". No, la ragazza non è vanitosa, come vi è venuto in mente?



Al seguito degli amici trainanti, giungiamo infine là dove l'asparago ha il suo regno, e dove esseri umani temerari si lanciano giù dai pendii, volteggiando sulle nostre teste come grossi inquietanti condor.
- Mamma, guarda! C'è un signore appeso a un arco volante con una seggiolina attaccata con dei fili.
- Sì, Mimi, si chiama "parapendìo" (no, non è una bestemmia, tranquilli).
- No, mamma. Si chiama: arco-seggiola.
- Ah.
Insomma, lassù, su quei monti  per che, dice il poeta,
i pisan veder Lucca non puonno
E non era un modo per dire che si stavano sulle palle a vicenda (uh, io quei lucchesi, non li posso proprio vedere), no no, è proprio che questo monte se ne sta lì in mezzo, a dividere le due città, che magari si staranno pure un po' sulle palle a vicenda, com'è normale accada tra buoni vicini di casa, ma che fisicamente sono costrette per arrivare a vedersi l'un l'altra, a scavalcarlo, un po' come abbiamo fatto noi.
E così, mentre con Mimi mi inerpicavo su per il sentiero degli asparagi, a un certo punto ho avuto questa epifania, di trovarmi a cavallo tra i territori delle due storiche rivali, e da una parte mi affacciavo verso il mare e vedevo una, dall'altra mi affacciavo verso monte e vedevo l'altra, e siccome non avevo appresso altro strumento per ritrarre indelebilmente l'attimo memorabile, non ho trovato di meglio che tirare fuori il mio telefono di penultima generazione, e usarlo per quello scopo per il quale non è stato principalmente pensato, ma che importa.

Pisa dai monti pisani (eh, sì: ho un debole per il Lo-Fi)

Lucca dai monti pisani.

Ma tornando ai miei asparagi, dovete sapere che di queste curiose escrescenze vegetali, io non avevo davvero idea di quale fosse l'aspetto in natura. Mi dicono gli amici trainanti qual è il cespuglio che devo cercare, e poi di guardare ai piedi dell'arbusto, spinosetto devo dire, dove dalla terra spunta fuori il germoglio, così come lo vedi al supermercato. Più o meno.
In effetti i nostri asparagi hanno l'aspetto assai più selvatico di quelli belli pasciuti del banco della verdura.
Dicono però che siano ben più saporiti.
E va be', iniziamo a cercarli.

Dopo aver strabuzzato a lungo gli occhi per districar lo sguardo tra fili d'erba e sterpi vari ed eventuali, stai quasi per rinunciare a vederci chiaro, dato che ti gira quasi la testa, ti si incrocia la vista, ne esci più confusa che mai, ed ecco! Seconda epifania della giornata. Il tuo asparago ce l'hai proprio, con rispetto parlando, in mano, stretto nel pugno, che scostava i fastidiosi fili d'erba e sterpi vari ed eventuali per agevolarti la ricerca dell'asparago stesso.
A quel punto sai che puoi farcela. E' solo questione di pazienza, e attenzione, e qualche diottria in meno, che in questo lavoro ci giureresti che ti ci stai giocando la vista, ma non demordi.

La ricerca è ardua e i risultati un poco deludenti: si concretizzano in quel mucchietto sparuto di arbusti che hai infilato nella tua busta di plastica, ma la montagna ti fortifica, l'aria fresca ti tonifica, gli archi-seggiola ti invitano a volgere gli occhi al cielo e quel cielo ti apre spazi e dimensioni che troppo spesso dimentichi che esistano, nei lunghi pomeriggi trascorsi tra quattro mura, con un soffitto sopra la testa, o davanti a un qualche schermo, posto sempre alla stessa distanza dai tuoi occhi.




Invece la montagna regala distanze che sono ignote alla città. Vedi tua figlia avanzare saltellando sulla strada avanti a te, muoversi con un'impensabile agilità tra i sassi scivolosi di muschio e fango, finire più di una volta gambe all'aria, prender di corsa una discesa troppo ripida e andarsi a schiantare in fondo a un fosso, farsi scivoloni di culo l'erta scoscesa e poi rialzarsi e fare il gesto di togliersi la sgommata di fango dai collant, e dire: "Tanto non fa niente, mamma", e ti dici: eureka! Chi l'avrebbe mai detto? Lei e le sue detestabili scarpe di vernice.





Ti precede e ti incalza, mentre tu ti attardi sull'ennesimo cespuglio di asparagi.
- Mamma, dove sei, mi sono persa!
Invece è appena lì, a tre passi da te.
- Mimi, ma sono qui, dietro a questi cespugli.
- Ah, meno male, credevo che ti aveva preso un lupaccio! Mamma, non andare in quel bosco, ché ci sono i lupi.
- Ma no che non ci sono. Non è un bosco, questa, è appena una macchia. Mimi non infilare la mano in quel buco che potrebbero esserci dei serpenti, non si sa mai.
- Ma no che non ci sono mamma. Io li amo i serpenti, sono buoni.
- Va bene ma tu non infilarci la mano lo stesso, ok?
- Mamma!! Guarda Buia com'è lontano! Sembra piccolo!

Dice guardando suo padre che è rimasto nello spiazzo intorno all'auto, dove sempre dorme la piccola.
Mi viene da pensare a quella storia del selvaggio cresciuto nella foresta, che la prima volta che vide una mucca in lontananza, in una prateria domandò che insetto fosse mai. Sentendosi dire che era una mucca si stupì che in quel posto esistessero mucche così piccole. Dov'è che l'avevo letta?
E' un po' così anche qui.
La montagna le offre metri di misura a cui normalmente i suoi occhi non sono avvezzi.
Ti muovi di un passo e tutta la visuale cambia, già non vedi più il tuo compagno accanto a te, la vetta che prima ti sembrava prossima, ora si allontana di nuovo, la valle che prima era nascosta dal fianco del monte ora si spalanca ai tuoi piedi.



C'è questo tutto armonico formato da un numero infinito di elementi, che a guardarli da vicino, come quando stai per minuti interi accovacciata vicino a un cespuglio a cercare asparagi tra la sterpaglia, ti si rivelano nella loro complessità di microcosmi.
Un sasso, un ciuffo d'erba, l'infinitamente piccolo, l'infinitamente vario, sotto le tue scarpe, mondi articolatissimi, come le nuvole omogenei ma sempre differenti tra loro.




- Mamma, guarda: le nuvole sono un po' gialle e un po' blu. Un po' grigette lì, e lì un po' bianchine, e intorno, rosa.
- Hai ragione, Mimi, e pensare che uno le disegna sempre bianche.

E sì che ha ragione, ecco perché si dice che è importante guardare il mondo con gli occhi di un bambino. Non è una banalità.
E' la sua capacità ancora freschissima e intatta di guardare le cose e spiegarsele per come le vede, senza applicarvi nozioni apprese altrove, in astratto, è la lettura diretta e autentica del mondo, senza il preconcetto di semplificazioni assodate e generalmente accettate per buone dal senso comune, che finiscono per sostituirsi alla complessità meravigliosa del reale.
Prendo a prestito i suoi occhi e guardo una roccia.
Chissà perché uno tende a disegnarle sempre grige, le rocce, quando qui di colori vedi la tavolozza intera.






Mi sono persa nei microcosmi e sto trascurando i miei asparagi. La mia ricerca langue, ma ho pur raccolto in questa giornata tantissime impressioni. Saprò farne qualcosa che regga il confronto con un risotto?

Mimi mi ha lasciata, ed è corsa dal padre.
Con lui ha trovato tantissimi asparagi e insieme li hanno raccolti.
- Mamma, guarda! L'ho preso io questo asparago!
Declama trionfante brandendo il trofeo vegetale.
Lo vedi? Con me non ne ha trovato nemmeno uno, e sembrava non fosse nemmeno interessata alla cosa.
In certi casi è un bene essere due, ed esserlo in modi diversi. Per esempio nel crescere un figlio.
Con me  Mimi elucubra sul colore delle nuvole e sugli inganni della prospettiva. Col padre raccoglie più asparagi di me.
Insieme ci perdiamo in chiacchere.
- Mamma, lo sai come si dice "asparagi" in inglese?
- No, dimmi.
- Aspowwrgg.
Improvvisa con una pronuncia da Oxford (sarà merito del rock Virgin Radio?). Mi viene da ridere ma mi accorgo di non sapere più di lei quale sia il corretto termine inglese per "asparago". Vedi quante cose davo per scontate e invece ignoro sull'universo asparagino?
Quando torno a casa devo assolutamente cercarlo, penso.

Intanto il sole allunga il codazzo dei suoi ultimi raggi sulle case nella valle, noi ci accingiamo a rientrare col nostro bottino biologico, la piccola si sveglia nel seggiolino dell'auto giusto in tempo per dare una rapida occhiata al paesaggio nella luce dell'imbrunire.

Ed è, anche stavolta, subito sera.





Ah, comunque, su Instagram mi trovate come Sustergram.
Che fantasia, eh!

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