domenica 12 luglio 2015

I tempi che corrono.

Illustrazione di Michael Roher
Ai miei tempi i bambini guardavano un sacco di televisione. Ai miei tempi, io guardavo un sacco di televisione.
Io e i miei fratelli passavamo svariati pomeriggi d' inverno in casa a guardare la televisione.
Ma anche a giocare.
Ai miei tempi i bambini avevano un sacco di giocattoli. Noi, ai miei tempi, avevamo una cameretta piena zeppa di giochi e giocattoli, e siccome ci infarcivamo tutto il giorno di pubblicità, conoscevamo alla perfezione l'offerta ludica commerciale del momento, e la seguivamo, sempre secondo la disponibilità genitoriale e gli interessi personali.
Naturalmente se era bel tempo uscivamo; nessuno ci vietava di farlo né ci chiedeva quando saremmo rientrati. Almeno secondo i miei ricordi di bambina, i miei genitori, a quei tempi, erano perennemente a lavoro. C'è da dire che, ai miei tempi, noi costituivamo un'eccezione in un panorama di famiglie non parimenti permissive, ed eravamo considerati dei semi-selvaggi.

Ai miei tempi giocavamo in strada, sotto i portici dei palazzi (ai miei tempi abitavamo in un quartiere periferico di recente costruzione, poco trafficato, pieno di famiglie giovani, e, perciò, di bambini).
In estate ci muovevamo a frotte, sui marciapiedi in fondo alle strade a vicolo cieco si stendevano teli per improvvisare bancarelle di vecchi giochi e gadget del Mulino Bianco che nessuno voleva. Non so se qualcuno riuscisse mai a vendere qualcosa.
Qualche giorno fa, in uno dei giardinetti che frequentiamo, ho visto bambine improvvisare bancarelle in terra per vendere vecchie miniature delle Winx e figurine della Coop. Non so se siano riuscite a vendere qualcosa.

Ai miei tempi avevamo un luogo segreto, ma così segreto che si diceva l'avesse scoperto per primo l'amico di un amico di mio fratello Totto, ma così segreto che si dice che l'avesse scoperto per primo il fratello della mia futura amichetta, ché all'epoca ci conoscevamo solo per guardarci da lontano in cagnesco, e non lo sapevamo, che sarebbe stata un'amicizia più che ventennale.
Questo luogo segreto era forse un luogo segreto un po' per tutti: una specie di capanna tra i giunchi, in fondo ai giardinetti con le altalene di ferro su cui nessuno andava mai, anche perché ripetutamente vandalizzate dai ragazzi più grandi, ne rimaneva solo qualche catena monca e sedute sbilenche (sempre arroventate dal sole in estate).
Al rifugio segreto, ai miei tempi, si accedeva per una breve scarpata sterrata, aggrappandosi ad una rete di nylon.
Su quella scoscesa, sotto la grande agave, avevamo sepolto il mio compianto gatto.
Il ricordo conferisce un alone di romantico anche al luogo più prosaico.
Quando venivano a giocare i miei cugini, bambini di città assai più di quanto non lo fossimo noi di periferia, quel rifugio segreto era il nostro vanto, cosa poteva reggere il confronto?
Certo, quando eravamo noi ad andare da mia cugina, da casa sua in centro si poteva andare da Burgy al Pantheon a piedi, e per me era fantascienza; tra il Burgy, il Pantheon, e uscire di casa ed essere in centro il massimo era senza dubbio il Burgy.
Ma vuoi mettere con un rifugio segreto tra le canne sotto casa?

Ai miei tempi andavamo in bicicletta. Intere giornate, o almeno così mi pare.
In un dato momento installarono in quartiere le campane verdi per la racconta differenziata del vetro. Quella volta vennero a farci vedere un filmato informativo a scuola sul tema del riciclo, e ne rimasi molto impressionata.
Di pomeriggio trascinavo mio fratello piccolo per le strade del quartiere in cerca di bottiglie abbandonate da caricarci dietro e portare alla campana.
Ai miei tempi prendevo le problematiche ecologiche con molta serietà.
Del resto oggi sono una maniaca della differenziata, sono una che litiga ai cassonetti sulla destinazione del PVC, per dire.
Ai miei tempi si parlava un sacco di buco nell'ozono almeno quanto ora si parla di riscaldamento globale. Di notte una volta non riuscii a dormire pensando che il buco dell'ozono ci avrebbe ammazzati tutti. Quella notte non dormì neppure mio padre.
Ai miei tempi i genitori perdevano il sonno per l'insonnia dei figli.
Ai tempi delle mie figlie, pure.

Ai miei tempi ci dicevano di non raccogliere le siringhe per terra, di stare lontani dai drogati, di non accettare i tatuaggi provvisori che distribuivano all'uscita della scuola, perché dentro pare ci fosse droga, droga che entrava in circolo per osmosi, a contatto con l'epidermide.
Poi con la droga pare ti prendessi pure l'AIDS, anche se il nesso tra le due cose non l'avevo mai capito bene.
Ai miei tempi i ragazzi grandi erano cattivi e andavano evitati, ci diceva la maestra di stare lontani da quel baretto pieno di flipper e fumo di sigarette, dove una volta entrammo io e le mie amiche a comprare un pacchetto di Big Babol, avendo messo insieme 900 lire in tre e il gestore ci guardò confuso, non capendo bene cosa fossimo venute a cercare lì.
Ai miei tempi, si sapeva, tutti i ragazzi grandi che frequentavano il baretto di Alfredo, erano drogati. Se ci andavi diventavi drogata anche tu.
Pensammo che in quelle Big Babol ci fosse la droga e le buttammo via.
Io avevo fatto in tempo a mettermene in bocca una e mi chiesi a lungo se mi fossi presa l'AIDS.

Ai miei tempi noi andavamo a scuola a piedi; la strada parallela a quella in cui abitavamo.
La maggior parte dei bambini, ai miei tempi, arrivava a scuola accompagnata dai genitori, noi no.
Questo era motivo di grande lode della maestra; ai suoi tempi, sosteneva, i bambini andavano da soli dappertutto, e sempre a piedi; i bambini dei miei tempi erano dei rammolliti.
Eppure, a me non sarebbe dispiaciuto se ogni tanto mi avessero accompagnato a scuola come la maggior parte degli altri bambini rammolliti.

Ai miei tempi avevamo una sola maestra, classe di 24 ragazzini; ai miei tempi, diceva lei, eravamo la classe peggiore che lei avesse mai dovuto gestire; ai miei tempi i bambini avevano tutto e non sapevano più giocare con le cose semplici, erano viziati e irrispettosi, e sarebbero diventati adulti irresponsabili ed egoisti.
Ce lo diceva di continuo, che eravamo i peggiori bambini che mai avessero calcato il suolo terrestre.
Ai suoi tempi non era così.
Ai tempi della mia maestra c'era la guerra e le bombe buttavano giù le scuole.
Ai miei tempi eravamo una generazione di falliti in partenza, grazie alla vita predisposta per noi dalla generazione precedente, ché ai loro tempi si erano fatti il culo.
Va così la Storia, maestra, non fartene un cruccio.

Ai tempi di mia madre, per dire, i bambini sciamavano per la campagna a piedi scalzi, e morivano come mosche di dissenteria quando arrivava il caldo estivo, aiutavano i grandi nel lavoro nella vigna e nel frutteto, e a volte portavano le capre al pascolo.
Ai tempi di mia madre le maestre umiliavano le scolare con interventi da denuncia.
Lei mi raccontava sempre di quella sua amica sorpresa a masticare una gomma americana che per punizione la ebbe impiastricciata tutta sui capelli e fu rapata a zero.
Ai tempi di mia madre se quella era pedagogia, c'è da stupirsi che non sia venuta su una generazione di serial killer.
Ai tempi di mia madre la televisione non era in tutte le case, ai miei tempi sì.
Ai miei tempi la televisione era il male.
Ai tempi delle mie figlie la televisione è il male minore.
Ai tempi in cui mia madre faceva il genitore, i genitori in genere avevano un lavoro fisso con stipendio a fine mese, e ad agosto si prendevano le ferie per andare a spendersi la quattordicesima in vacanza.
A quei tempi le madri che non lavoravano si chiamavano casalinghe e le madri che lavoravano erano carrieriste.
Ai miei tempi le madri che non lavorano sono disoccupate, e quelle che lavorano si tengono stretto il lavoro.
Ai tempi di quando ero piccola ci dicevano che eravamo turbolenti, impossibili, maleducati.
Ai tempi delle mie figlie si dice che un bambino è ipercinetico, iperattivo o che ha difficoltà di gestione emotiva.
Ai miei tempi ci sbattevano davanti alla televisione svariate ore al giorno, perché i grandi lavoravano, e i grandi cui eravamo affidati preferivano che occupassimo il tempo in quel modo piuttosto che farcelo occupare in maniera differente, dopodiché ci veniva rinfacciato che fossimo una generazione di piccoli teledipendenti.
Ai tempi delle mie figlie i bambini hanno i tablet e ci passano svariate ore al giorno, incoraggiati da genitori che poi ti dicono: "eh, ma questi bambini hanno tutto, non sanno più giocare come facevamo noi. Ai nostri tempi non c'erano i tablet".

Per fortuna i bambini sono sempre un passo avanti a qualsiasi generazione di adulti si ritrovino come genitori, e imparano ben presto a mandare a cagare i nostalgici dei bei tempi andati.
A dar la colpa ai tempi che corrono son tutti bravi, mentre potremmo provare a renderli dei "tempi migliori".
E poi chi lo dice che i miei tempi non siano proprio questi qui?

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